Interval training: cos’è.
Uno degli allenamenti che richiama più curiosità nel mondo del running è l’interval training.
Il termine inglese significa (come si intuisce facilmente) allenamento ad intervalli, quindi l’alternanza di fasi a differente intensità; questa metodica può essere sviluppata in differenti modi che possono dipendere da diversi fattori:
- livello atletico;
- obiettivo;
- periodo della preparazione;
- settimana di carico e scarico;
- età;
- sesso;
- infortuni pregressi,
- clima (temperatura + umidità, vento).
Allenamento ad intervalli in 10 punti.
Queste condizioni rendono difficile una catalogazione uguale per tutti, quindi proviamo ad analizzare 10 punti per sviscerare questa metodica, ognuno potrà riconoscersi all’interno di queste “leggi” e migliorare la propria conoscenza su fisiologia, teoria e pratica di questa affascinante attività.
- Terminologia:
- Obiettivo;
- Quante volte;
- Come scegliere le intensità;
- A che ritmo correre;
- Il recupero;
- Superficie;
- Pendenza;
- Periodo della giornata;
- Riscaldamento/defaticamento.
1. Terminologia dell’allenamento ad intervalli.
A livello di nomenclatura esistono diversi modi di chiamare le diverse tipologie di interval training:
- ripetute brevi;
- ripetute medie;
- ripetute lunghe;
- ripetute piramidali;
- fartlek;
- ecc…
In questo articolo verrà utilizzato un mix tra letteratura scientifica, pratica da campo ed esperienza del nostro team. Rimangono comunque differenze individuali tra i vari allenatori e nazioni di provenienza, l’importante è conoscerne i presupposti fisiologici più che dare un nome ben definito.
Fartlek (giochi di velocità):
È una metodica abbastanza libera dove si alternano fasi intense a fasi di corsa a ritmo più lento. Il fartlek kenyano classico è 20/25 x 1’ forte-1’ lento, da questa base poi possono partire molteplici tipologie di soluzione in funzione del livello atletico, dell’obiettivo e del periodo della stagione.
Ripetute brevi:
Ripetute brevi e interval training possono essere considerati sinonimi (in letteratura scientifica si utilizza la parola short interval training). Ci possono essere visioni differenti da allenatore ad allenatore ma in genere si considerano brevi quelle entro gli 800 m (ma la distinzione è più didattica che fisiologica).
Ripetute medie:
Come ripetute medie si possono considerare le distanze tra i 1000 m e i 3000 m (anche se il 3000 m rappresenta una distanza di passaggio tra le medie e le lunghe).
Ripetute lunghe:
Come ripetute lunghe possiamo considerare le distanze dai 4 ai 6 km.
2. Obiettivo dell’interval training.
L’obiettivo dell’interval training è stimolare l’organismo ad alta intensità; sottoposto ad uno stress fisico elevato il corpo crea una serie di adattamenti fisiologici:
- incremento del volume del muscolo cardiaco (miocardio);
- aumento degli enzimi della glicolisi aerobica e anaerobica;
- aumento del numero, volume e densità dei mitocondri;
- miglior smaltimento dell’acido lattico;
- maggiore tolleranza all’aumento dell’acidità muscolare ed ematica;
- Incremento dell’EPOC (excess post oxygen consumption).
E neurologici:
- maggiore tolleranza del sistema nervoso alla fatica;
- maggiore coordinazione intermuscolare (miglior gesto atletico).
Questi adattamenti portano ad un aumento del massimo consumo di ossigeno e ad un innalzamento della soglia anaerobica, fattori che incidono sulla performance in gran parte delle gare di endurance (soprattutto dagli 800m in su).
3. Quante volte? Gli effetti negativi dell’interval training.
Lo stimolo prodotto dagli allenamenti ad alta intensità ha però anche dei lati negativi:
- deplezione del glicogeno muscolare ed epatico;
- incremento degli ormoni dello stress (cortisolo, catecolamine, ecc…);
- maggior insulto (e danneggiamento) muscolare e tendineo;
- incremento della temperatura corporea eccessivo;
- impegno mentale e neuromuscolare maggiore.
Tutte queste condizioni ne sconsigliano un utilizzo frequente. L’interval training va gestito all’interno della settimana (microciclo), mese (mesociclo) e lungo periodo (macrociclo) in equilibrio con altre attività di endurance aerobica e di scarico.
L’alternanza corretta di questi stimoli permette di evitare sindromi da affaticamento (tra cui l’epilogo peggiore è l’overtraining), un numero eccessivo di allenamenti intensivi alla lunga può portare al peggioramento della performance, all’infortunio e spesso all’abbandono dei propri obiettivi (soprattutto a medio e lungo termine).
Gli atleti di elite non spendono più del 20% del loro volume totale di allenamento ad alta intensità (spesso questa fase si riduce al 5%), questa regola è ancora più importante in runner che corrono tutti i giorni e nei professionisti dove spesso viene inserito il doppio allenamento giornaliero.
Negli amatori questa percentuale può anche salire al 30 % in alcune settimane di carico o gare brevi, ma deve essere sempre inferiore al volume di allenamento a componente aerobica (soprattutto lipidica).
4. Come scegliere l’intensità di allenamento?
Tarare l’intensità dell’interval training è fondamentale per creare uno stimolo corretto ed evitare stress eccessivi.
Nel mondo del running si utilizzano differenti modi per determinare l’intensità:
- velocità/tempo al km;
- percezione della fatica;
- frequenza cardiaca;
- watts.
>> Velocità:
La velocità è il metodo più utilizzato dai runner (amatori e professionisti). I ritmi vengono tarati in funzione di un obiettivo cronometrico o dei risultati dei test da campo o da laboratorio.
ESEMPIO: 4 x 1000m a 4’ al km, 3 x 2000m a 4’20” al km, ecc.
PRO:
- È forse il metodo più stimolante, si è spesso in confronto con se stessi e con il proprio goal, permette il confronto con precedenti allenamenti e stagioni e dà un’idea sulla fattibilità di un obiettivo (esempio: se si vuole correre un 10km in 40’ e non si riescono a svolgere poche ripetute di 1000m a 4’ al km è difficile poter raggiungere questo obiettivo).
CONTRO:
- Questa tipologia di lavoro ha anche aspetti negativi: allenarsi a ritmo al km non tiene conto della stanchezza e dei cambiamenti di condizione fisica, non si adatta ai cambiamenti di pendenza, fondo/superficie o vento contrario (correre a 5’ al km in piano su asfalto e in condizioni di vento normale non rappresenta lo stesso stimolo di correre allo stesso ritmo in salita, su sterrato o con forte vento contro).
>> Percezione della fatica:
Stabilire l’intensità dell’interval training sulle proprie sensazioni fisiche (senza guardare il gps o il cardiofrequenzimentro) ha lati positivi e negativi.
PRO:
- ogni podista deve spendere parte dei suoi lavori qualitativi gestendosi liberamente, in questo modo può migliorare la conoscenza del suo corpo e delle sue capacità di gestione della fatica;
- la percezione della fatica può permettere di adattare le velocità delle ripetute alle sensazioni di giornata (esempio: se si devono svolgere 10 x 300m in 60” e durante lo svolgimento ci si rende conto che il ritmo è troppo facile si può sfruttare questa conoscenza di se’ per incrementare progressivamente la velocità, al contrario in giornate no serve per rallentare i ritmi);
- un lavoro gestito senza l’occhio fisso sul cronometro può risultare meno stressante;
- alcuni allenamenti nascono per essere gestiti liberamente (solo attraverso la percezione personale dello sforzo), un esempio classico è il fartlek (gioco di velocità) dove si alternano variazioni di ritmo a sensazione cercando solo di distribuire correttamente lo sforzo.
CONTRO:
- alla lunga può risultare un metodo poco specifico e noioso se non associato ad altri parametri di intensità;
- in soggetti inesperti può risultare difficile tarare le intensità dell’interval training a sensazione.
>> Frequenza cardiaca:
E’ il parametro fisiologico (interno al corpo) correlato all’intensità dell’esercizio fisico facilmente valutabile da ormai molti anni. Tarare le intensità dell’interval training attraverso la frequenza cardiaca ha pro e contro:
PRO:
- indice correlato al consumo di ossigeno e alla fatica;
- si adatta al percorso di allenamento (in salita a parità di ritmo i battiti si alzano, quindi mantenendo gli stessi battiti della pianura avremo anche in pendenza un adattamento della velocità e un mantenimento di uno stimolo fisico similare);
- lo stesso vale per un fondo più lento (sterrato) o quando si corre contro vento; mantenendo la stessa frequenza cardiaca avremo in automatico un adattamento della velocità di corsa;
- si adatta alla condizione fisica del momento (se si possiede una forma fisica inferiore non ha senso impostare le velocità dell’interval training in base ai ritmi precedenti, meglio usare la frequenza cardiaca fino a quando le velocità non saranno tornate quelle del periodo di forma);
CONTRO:
- servono test specifici per determinare le corrette frequenze cardiache dove svolgere l’interval training;
- la frequenza cardiaca ha un ritardo di risposta rispetto alla velocità (se si inizia una ripetuta con l’obiettivo di correrla a 170 bpm il cuore avrà bisogno di un po’ di tempo per salire ma in realtà il corpo starà già faticando), quando si utilizza la velocità questo problema non esiste;
- può subire variazioni climatiche (con il caldo e l’umidità a parità di velocità la FC sale di diversi battiti al minuto rispetto a condizioni climatiche più fresche);
- può subire lievi variazioni giornaliere (in funzione dell’orario di allenamento);
- va in deriva cardiocircolatoria (tende ad aumentare dopo diverse decine di minuti anche se la velocità rimane costante);
- è un parametro difficile da utilizzare nelle ripetute brevi (a causa della latenza della risposta).
>> Watts:
È un parametro molto utilizzato nel ciclismo e poco nel running. Si basa sulla misurazione della potenza meccanica prodotta durante la contrazione muscolare.
Nel ciclismo i sensori di potenza (chiamati powermeter) sono posizionati nei pedali, nella guarnitura o nel mozzo posteriore della ruota, servono per tarare l’intensità degli allenamenti sull’individuo. La velocità nel ciclismo è un parametro poco utilizzabile perché dipende dal vento, dalla pendenza e dalla stessa velocità, usando la potenza il ciclista sa sempre quanto impegno sta mettendo nella pedalata.
Anche in questo caso esistono pro e contro:
PRO:
- è un parametro che si adatta alla pendenza, superficie e vento contro e quindi può rendere la gestione delle intensità di corsa molto precise;
- metodo stimolante e innovativo attraverso il confronto degli allenamenti e dei watts prodotti
- permette di dare indicazioni anche sull’economia di corsa (se a parità di velocità il wattaggio prodotto diminuisce significa che si è diventati più economici);
CONTRO:
- in commercio esistono pochi prodotti che hanno una buona precisione (anche se non valutano in modo corretto i cambi di superficie e il vento);
- va impostato in funzione di test specifici;
- non ci sono riferimenti rispetto alle gare (per esempio se si vuole impostare un obiettivo confrontandosi con gli altri il tempo di svolgimento di una gara rimane il dato più utilizzato, bisognerebbe iniziare ad indicare le gare anche in funzione del wattaggio medio tenuto da runner di diverso livello).
5. A che ritmo correre?
La scelta delle intensità può essere gestita in funzione di vari parametri utili e correlati alla prestazione, tra quelli fisiologici i più classici sono legati alla velocità di soglia anaerobica (che può essere calcolata in differenti modi), al massimo consumo di ossigeno (da cui si può ricavare la velocità massimale aerobica) e alla velocità di critical power.
Per semplicità le intensità di corsa verranno rappresentate in funzione del tempo gara sui 10 km, distanza facilmente testabile e non troppo stressante.
Diversi studi hanno trovato una forte correlazione tra tempo sui 10 km, sulla mezza e sulla maratona, chiaramente per impostare un ritmo corretto dell’interval training bisogna scegliere il proprio personale sui 10 km o l’obiettivo solo se è alla portata delle capacità attuali, se si imposta un ritmo troppo impegnativo il rischio è calcolare velocità delle ripetute sbagliate con incremento della possibilità di infortunio e overtraining.
Il ritmo nelle ripetute brevi:
18/20 x 100m (120-130% pb 10k)
14/15 x 200m (115-125% pb 10k)
12/13 x 300m (113-119% pb 10k)
10/11 x 400m (111-117% pb 10k)
8/9 x 500m (110-115% pb 10k)
7/8 x 600m (108-112% pb 10k)
6/7 x 800m (105-109% pb 10k)
Il ritmo nelle ripetute medie:
5/6 x 1000m (102-106% pb 10k)
2/3 x 2000m (98-103% pb 10k)
2 x 3000m (95-100% pb 10k)
Il ritmo nelle ripetute lunghe:
2/3 x 5000m (tra il medio e il ritmo mezza maratona)
Gli esempi mostrati sono generali, ci sono molteplici combinazioni di durata e intensità, la stessa ripetuta può essere corsa ad una percentuale del pb più bassa se il volume è maggiore e il recupero è ridotto o al contrario a percentuali più alte con volumi ridotti e recuperi più ampi.
6. E il recupero…
Il recupero dipende da diversi fattori:
- livello atletico
- obiettivo
- periodo della stagione
- tipologia di allenamento
Oltre ad avere durata differente può essere svolto in modo passivo (fermi), semi passivo (cammino), corsa lenta o corsa a differenti ritmi (dalla velocità del lento a quella della maratona oppure si possono utilizzare regole indicando la differenza massima tra la velocità della fase intensa rispetto al recupero).
In questo caso indicare degli esempi validi per tutti è molto difficile e andrebbe tarato individualmente in funzione dei parametri indicati.
7. Superfici.
L’interval training del runner che gareggia su strada può essere svolto su differenti superfici, questa condizione può portare a stimolare il piede in differenti modi, migliorare la propriocezione e ridurre la possibilità di infortunio.
Le tre superfici principali sono:
- Pista d’atletica;
- Asfalto;
- Sterrato o terra rossa.
In funzione della tipologia di allenamento ci possono essere differenti superfici ideali:
La superficie ideale per il fartlek:
La superficie migliore per questa metodica è lo sterrato o la terra rossa (fondo dove corrono gli atleti kenyani nella rift valley). Si può svolgere anche su asfalto mentre la pista per questo tipo di metodica non è ideale.
La superficie ideale per le ripetute brevi:
Per le ripetute brevi la miglior soluzione è la pista d’atletica, su distanze così corte il gps può portare ad un errore significativo mentre un percorso ben misurato permette di gestire al meglio questa tipologia di interval training.
Per chi non è abituato alla pista o può riscontrare infortuni nel correre sempre in senso antiorario la soluzione può essere l’asfalto in zone senza attraversamenti di strade trafficate e segnati per terra con rotelle metriche.
La superficie ideale per le ripetute medie:
Gran parte del discorso fatto per le ripetute brevi vale anche per le medie, solo le ripetute sui 3000m possono risultare noiose in pista, inoltre in questi casi sarebbe fondamentale invertire il giro di pista tra le ripetute (questo discorso vale anche per le rip. brevi dove possibile). Su queste distanze se il percorso è lineare i gps diventano più precisi.
La superficie ideale per le ripetute lunghe:
Per le ripetute lunghe l’asfalto e anche un bello sterrato (dove la precisione del ritmo può giocare anche minor importanza) possono rappresentare una superficie corretta. Anche in questo caso il gps può diventare uno strumento molto utile per gestire le intensità.
8. Pendenza.
Nell’interval training la pendenza è un ulteriore fattore che modifica la tipologia di stimolo, ogni allenamento può essere svolto con diversi profili altimetrici sbilanciando il lavoro sull’aspetto reattività o forza muscolare.
La pendenza indicata per il fartlek:
Per genesi il fartlek nasce su percorsi collinari, l’unione delle variazioni a sensazione e delle pendenze (positive e negative) rende questa metodica di allenamento molto varia e utile ad allenare diverse caratteristiche fisiche.
Se il percorso presenta lievi ondulazioni la fase veloce può essere svolta alcune volte in salita (con un maggior impegno cardiaco e una contrazione muscolare più concentrica), altre in discesa (con minor impegno cardiaco e maggior impegno muscolare e tendineo attraverso una forte contrazione eccentrica); in quest’ultimo caso però la pendenza deve essere ridotta per evitare una meccanica di corsa innaturale ed un sovraccarico a tendini e muscoli degli arti inferiori.
Le pendenze ideali per le ripetute brevi e medie:
Le ripetute brevi e medie ossono essere svolte in piano, in salita e su percorso collinare:
- nel primo caso l’obiettivo è più specifico per le gare in piano e per il miglioramento della reattività degli appoggi dei piedi a terra (oltre a generare una meccanica di corsa più dinamica a livello di falcata);
- nel secondo caso incrementa la componente muscolare e l’impegno cardiocircolatorio a discapito della reattività;
- su percorso collinare le due metodiche si incontrano, però in questo caso può risultare più utile il fartlek per allenare gare che si svolgono in condizione di ondulazione di percorso.
Pendenza e ripetute lunghe:
Anche questa tipologia di interval training può essere svolta in piano, salita e su percorso collinare, però in generale per runner che preparano i classici eventi su strada (anche per tempo a disposizione, logistica e periodizzazione) la sede naturale di questi lavori è la pianura o i percorsi collinari.
9. Periodo della giornata.
Alcune variabili fisiologiche (consumo di ossigeno, temperatura corporea, ritmi circadiani ormonali, ecc…) che agiscono sulla performance di endurance hanno il loro massimo sviluppo nel pomeriggio tra le 16 e le 18.
Guardando queste indicazioni tutti i lavori di interval training (che richiedono un incremento della temperatura corporea e del massimo consumo di ossigeno importanti) andrebbero svolti nel pomeriggio.
Il mondo dei runner professionisti invece è molto vario, in genere tendono a fare un primo allenamento intenso al mattino (gli atleti kenyani anche molto presto) e una seconda seduta verso le 17 più leggera.
Inoltre la maggior parte delle gare viene corsa alle 9.30, questa condizione ha portato molti atleti ad adattarsi ad orari similari e spostare i propri bioritmi.
Per gli amatori invece conta di più la propria gestione familiare e lavorativa, in funzione dell’orario di lavoro gli allenamenti intensi vengono gestiti negli orari più disparati, in alcuni casi estremi (ma poi non così rari) alle 5.30 del mattino o alle 22 alla sera.
L’importante è valutare la disponibilità della mente allo sforzo, se si ha una forte attivazione al mattino presto non esiste nessun problema a svolgere l’interval training anche in questa fascia oraria, per chi invece alzarsi al mattino rappresenta un’impresa meglio gestire la seduta a pausa pranzo o alla sera (se non si è troppo stanchi dalla giornata di lavoro).
10. Riscaldamento / defaticamento.
È utile rimarcare l’utilità del riscaldamento e del defaticamento prima e dopo l’interval training. Essendo una metodica intensa risulta importante alzare la temperatura corporea, il consumo di ossigeno e attivare il sistema nervoso e muscolare.
15/20 minuti di corsa lenta + 5/10 allunghi di 20 secondi possono essere sufficienti.
L’interval training è inoltre una metodica che porta ad una buona produzione (e in alcuni casi anche accumulo) di acido lattico nel muscolo e nel sangue, 10/15 minuti di corsa lenta a fine seduta possono velocizzarne lo smaltimento.
Author: Huber Rossi – Marathon Sport Center.