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Appoggio del piede

Appoggio del piede

Qual è l’appoggio del piede migliore nel runner?

Prima di affrontare qualsiasi argomento legato alla biomeccanica della corsa è sempre importante fare una premessa: ogni indicazione tecnica che deriva dal campo e ogni scoperta scientifica ad oggi non hanno ancora permesso di identificare delle regole che vadano bene per qualsiasi runner di endurance (da questo articolo escludiamo le prove di mezzofondo dove vengono utilizzate le scarpe chiodate e concentriamo l’attenzione sulle attività su strada dai 10km in su), inoltre ogni anno escono nuove pubblicazioni a favore e contro quelle precedenti (questo anche a causa delle differenze nel livello degli atleti studiati e dei protocolli utilizzati); tutto ciò rende difficile trovare regole universali, però possono comunque essere affrontati degli argomenti dando indicazioni e valutando la risposta individuale su ogni podista.

Tipologie di appoggio.

Un argomento che non passa mai di moda è la tipologia di appoggio del piede a terra.

In genere sono presenti tre grandi gruppi di appartenenza legati alla prima zona del piede che tocca a terra durante la stance phase (fase di appoggio del piede a terra durante il ciclo della corsa):

  • Rearfoot striker: in questa categoria di runner cadono quelli in cui il tallone è il primo punto di contatto con il terreno, in genere si nota una rullata del piede che va dal tallone alla punta del piede e appena prima dell’impatto a terra la punta del piede è rivolta verso l’alto (dorsiflessione);
  • Midfoot striker: in questa categoria sono i metatarsi a toccare per primi il terreno e appena dopo arriva il tallone;
  • Frontfoot striker: anche in questo caso il primo punto del piede che tocca a terra sono i metatarsi ma il tallone non arriva mai a toccare il terreno.

In vari studi epidemiologici si è riscontrato che il maggior numero di runner cade nella prima categoria (rearfoot striker), soprattutto i podisti amatori, nei professionisti c’è un maggior numero di mid e frontfoot striker anche se una buona parte rimane rearfoot striker (soprattutto in condizioni di stanchezza).
Con la crescita dei fautori del barefoot running (metodo di corsa in cui si cerca la naturalità del gesto correndo a piedi scalzi o con protezioni minimali) si è enfatizzato l’appoggio del centro piede (metatarsi), in queste condizioni ogni runner è portato a correre maggiormente con questo stile e utilizzare meno il tallone. La teoria è che sia un movimento più naturale e quindi porti ad una moltitudine di benefici. Rispetto però al periodo in cui l’ESSERE UMANO si muoveva a piedi scalzi la tipologia di terreno è cambiata, al posto dell’erba e della terra troviamo asfalto, cemento o sterrati che possono portare a problematiche risolvibili solo con la protezione di una scarpa da running, comunque anche in queste condizioni l’idea che la corsa di centro piede sia più efficace ha portato diversi runner a ricercare questo cambiamento anche con le scarpe addosso.
I due motivi principali che hanno indotto molti runner e allenatori a lavorare sull’uso del centro piede (tra cui le due metodiche più famose sono il pose running e il chi running) sono principalmente due:

  • La corsa di centro piede dovrebbe essere più economica a causa di un miglior riutilizzo di energia elastica dalle componenti tendinee degli arti inferiori;
  • La corsa di centro piede dovrebbe ridurre il numero di infortuni distribuendo meglio le forze che si scatenano al momento dell’impatto del piede a terra (in termini tecnici ridurre la VGRF = vertical ground reaction force).

Diversi studi hanno cercato di valutare se il cambiamento da un appoggio più arretrato ad uno più centrale/avanzato portasse a questi vantaggi, in letteratura però le indicazioni sono contrastanti, in alcuni casi sembra addirittura che la corsa appoggiando il tallone (rearfoot striker) sia più economica e che il numero di infortuni non subisca alcuna modifica (se non nella tipologia, i rearfoot striker sembrano avere maggiori problemi con le ginocchia mentre i mid e frontfoot striker con i polpacci, il soleo e i tendini d’Achille).
Le indicazioni pratiche e alcuni studi ben condotti fanno comunque pensare che un leggero avanzamento dell’appoggio del piede possa essere positivo per l’economia di corsa (soprattutto a velocità medio/alte); però più che pensare ad un solo avanzamento del piede, risulta utile anche migliorare la forza nella muscolatura degli arti inferiori e del core e l’elasticità tendinea per ridurre i tempi di contatto del piede a terra (favorendo cosi’ una riduzione delle forze frenanti); questa tipologia di cambiamento va però adeguata ad personam, soprattutto l’entità del lavoro di elasticizzazione e reattività (skip, pliometria lieve, ecc…) va adattata all’età biologica e sportiva di ogni runner per ridurre il più possibile la possibilità di incorrere in problematiche muscolari e articolari.

Appoggio del piede e infortuni.

Per quanto riguarda gli infortuni invece l’argomento va trattato individualmente: insistere con un appoggio troppo avanzato in soggetti che soffrono muscolarmente nei polpacci e nel soleo anche dopo una fase di adattamento di diverse settimane è sconsigliabile, in questi casi meglio ridurre l’entità della modifica o tornare ai vecchi pattern/stili di movimento. Discorso diverso per i runner che soffrono alle ginocchia ma hanno tendini d’Achille molto elastici, in questo caso un appoggio più centralizzato può essere utile.
Per rendere più efficaci queste modifiche possono essere d’aiuto le differenti tipologie di scarpe, ogni runner può testare diverse soluzioni di drop e potere ammortizzante: soggetti con problemi alle ginocchia ma forti ed elastici tendini d’Achille possono provare scarpe con poco drop ma molto materiale sotto i metatarsi, altri devono ricorrere a drop maggiori per stressare meno le strutture posteriori della gamba propriamente detta ma possono giocare su materiali più reattivi in centro piede per aumentare l’economica del gesto.
Ogni cambiamento deve però essere progressivo e testato passo per passo accettando anche l’idea di modificare in corso d’opera le proprie opinioni. Soprattutto noi allenatori non dobbiamo sposare un unico modo di vedere la tecnica di corsa, chi come il sottoscritto segue centinaia di runner con capacità e strutture fisiche completamente differenti deve accettare che alcuni accorgimenti fondamentali per determinati podisti possano essere negativi per altri.

Conclusioni.

Sicuramente il discorso è molto ampio e deve comprendere anche una valutazione del corpo in toto e l’equilibrio tra le varie catene muscolari, l’argomento trattato è in continuo divenire e soprattutto in podisti già formati (adulti) ogni intervento va contro uno storico fisico costruito negli anni che ha portato a compensi muscolo/scheletrici, quindi associare al cambiamento tecnico una buona dose di posture, allungamento, core training e altri interventi (allenamento funzionale, massaggio sportivo, osteopata o figure similari) possono essere utili per ridurre gli effetti negativi e permettere una valutazione più chiara e precisa sugli effetti del cambiamento apportato, inoltre eseguite ogni cambiamento con molta progressione valutando passo per passo la riposta del vostro corpo.

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