I vantaggi del defaticamento.
Insieme al riscaldamento e allo stretching, anche il defaticamento rappresenta una parte fondamentale dell’allenamento. Anche se le evidenze scientifiche sono minori e meno univoche ci sono diversi fattori che ne fanno intuire la forte utilità pratica. Il defaticamento nel running rappresenta una fase di corsa a bassa intensità della durata di pochi minuti inserita alla fine della seduta di allenamento o gara.
I vantaggi che tale pratica può produrre sono:
- Facilitare il ritorno venoso;
- Rimuovere più velocemente l’acido lattico prodotto dai muscoli in esercizio;
- Rimozione più velocemente dei prodotti di rifiuto del metabolismo aerobico e anaerobico e riduzione del DOMS (delayed onset muscolar soreness o dolore muscolare tardivo);
- Recupero progressivo della frequenza cardiaca, della pressione sanguigna e del lavoro della muscolatura respiratoria;
- Attraverso l’unione del defaticamento e dello stretching si possono ridurre le tensioni muscolari e tendinee e le aderenze tra i tessuti;
- In alcuni casi il defaticamento può rappresentare un ulteriore metodo di allenamento.
1) Ritorno venoso
Per mantenere le normali funzioni vitali (e ancora di più durante l’attività fisica) il nostro muscolo cardiaco (miocardio) “pompa” tutti i giorni diverse migliaia di litri di sangue alla periferia (organi interni, muscoli degli arti superiori e inferiori, ecc…), il sangue eiettato dal cuore viaggia attraverso le arterie (grossi vasi ad alta pressione con pareti molto spesse) verso le cellule del nostro corpo per portare ossigeno e sostanze nutritive (soprattutto ai muscoli durante esercizio fisico). Il ritorno del sangue dalla periferia al centro del corpo (ritorno venoso) è dovuto a dei grossi vasi a bassa pressione con pareti più sottili(le vene). Essendo a bassa pressione e dovendo vincere la gravità il sangue che dagli arti torna al cuore deve compiere un viaggio più difficile. L’alternanza della contrazione e rilasciamento della muscolatura locomotoria che circonda le vene genera una vera e propria azione pompa consentendo un ritorno venoso più efficace.Un esempio di scarso ritorno venoso è quando rimaniamo in piedi fermi; soprattutto le vene delle gambe e dei piedi si gonfiano dando sensazioni negative (spesso associate a pesantezza degli arti inferiori e scarsa reattività) e riducendo la gittata cardiaca (quantità di sangue pompata dal muscolo cardiaco in un minuto).
Dopo un esercizio muscolare intenso (ripetute di varia tipologia, gare brevi, ecc…) aumenta l’accumulo di sangue nelle vene degli arti inferiori e, a causa dell’aumento della pressione sistolica, la possibilità di accumulo di liquidi nei tessuti interstiziali (edema). Sulla base di queste indicazioni sembra consigliabile a fine allenamento mantenere una leggera attività fisica favorendo cosi il ritorno venoso e riducendo le sensazioni di pesantezza e scarso recupero muscolare.
2) Rimozione dell’acido lattico
Durante lo svolgimento di allenamenti ad intensità superiori al 90-95% della massima frequenza cardiaca o alla soglia anaerobica parte dell’energia necessaria ai nostri muscoli deriva dal sistema anaerobico lattacido. Questa condizione utile e fondamentale porta però ad un accumulo di acido lattico nella cellula e nel sangue agendo negativamente sulla capacità di sviluppare tensione muscolare. Anche se la formazione di acido lattico durante attività fisica ha differenti aspetti positivi un suo eccessivo accumulo può essere una della cause (insieme a molti altri fattori organici e di origine neurologica) della fatica muscolare. Pertanto una leggera attività fisica a fine allenamento permette di rimuovere più velocemente questa sostanza attraverso la sua ossidazione (da parte di altri muscoli attivi, dal cuore, dal fegato e da altri importanti organi interni) velocizzando cosi i processi di recupero.
3) Riduzione del DOMS
Quando svolgiamo un allenamento molto intenso e/o non abituale (ripetute molto brevi e veloci, allenamenti collinari con lunghe discese che impegnano la nostra muscolatura in una contrazione eccentrica prolungata, ecc…) avvertiamo un dolore muscolare crescente che va ad aumentare nei 2-4 giorni successivi. Questo dolore deriva dai microtraumi prodotti sulle fibre muscolari, queste vengono fortemente danneggiate e riversano nel sangue materiale proteico che va ad aumentare il processo infiammatorio. Una leggera attività di defaticamento può velocizzare la rimozione del materiale proteico in circolo e ridurre il DOMS (delayed onset muscolar soreness o dolore muscolare tardivo) nei giorni seguenti; questa condizione velocizza il processo di recupero e da la possibilità di allenarsi nuovamente con efficacia riducendo i giorni di inattività. In queste condizioni di danno muscolare potrebbe però essere più utile inserire attività di defaticamento che non comportino ulteriori azioni eccentriche sui muscoli come il nuoto o la bicicletta.
4) Recupero progressivo di alcuni importanti parametri fisiologici
Soprattutto dopo un allenamento intenso o una gara breve spinta vicino al limite delle nostre capacità risulta importante abbassare con progressione alcuni importanti parametri cardiocircolatori. Il defaticamento permette una riduzione progressiva della pressione sistolica e una costrizione graduale dei vasi venosi e arteriosi evitando possibili cali ipotensivi post allenamento. Inoltre in situazioni di forte attivazione fisica si ha un aumento significativo della concentrazione delle catecolamine plasmatiche (adrenalina e noradrenalina); tra i molteplici effetti di questi ormoni c’è anche una forte attivazione del miocardio (muscolo cardiaco); quindi un rallentamento progressivo della frequenza cardiaca attraverso un corretto defaticamento permette di accompagnare la riduzione della concentrazione ematica di queste sostanze. Anche la muscolatura respiratoria (diaframma, intercostali, ecc…), impegnata nel fornire più aria (e quindi ossigeno) ai polmoni per garantire energia per il recupero post esercizio può adeguarsi gradualmente al passaggio tra attività fisica e riposo.
5) Riduzione infortuni
Dopo un’attività fisica intensa si può produrre uno stato di tensione muscolare e di infiammazione generale, queste due condizioni possono generare possibili sovraccarichi muscolo-tendinei e aderenze tra i tessuti muscolari e connettivali. L’associazione di leggeri movimenti dinamici post esercizio e di stretching statico potenzialmente può permettere di ridurre l’incidenza degli infortuni agendo sulla riduzione della tensione muscolo-tendinea e sulla rimozione di alcune aderenze tissutali post esercizio.
6) Metodo di allenamento
Il defaticamento in alcuni casi può essere interpretato come un metodo di allenamento. Aggiungere diversi minuti (o anche qualche km) di corsa lenta può rappresentare un incremento del volume settimanale di allenamento e in alcuni casi un vero e proprio allenamento della capacità di correre e mantenere una buona tecnica del gesto anche in condizioni di forte stanchezza. Soprattutto per le discipline di endurance prolungato (ultramaratone, ultratrail, ironman, ecc…) imparare a correre correttamente a ritmi lenti con le gambe stanche può essere, se gestito nel modo corretto, un ulteriore stimolo allenante da mettere tra le frecce del nostro arco.
Parametri del defaticamento.
I parametri legati al defaticamento sono:
- Intensità;
- Durata;
- Tipologia.
Intensità
L’intensità del defaticamento deve garantire un’azione cardiocircolatoria sufficiente per agire sui parametri menzionati in precedenza e permettere un gesto biomeccanico e un intervento muscolare non troppo differente da quello utilizzato in gara/allenamento (la corsa deve essere lenta ma non troppo differente rispetto al nostro ritmo di riscaldamento). Allo stesso tempo l’intensità non deve essere eccessiva procurando cosi un ulteriore alterazione dell’omeostasi corporea. I dati di letteratura indicano un’intensità del 65/75 % della FC max (massima frequenza cardiaca reale) come valore idoneo al defaticamento. Questa intensità è leggermente inferiore a quella indicata per il riscaldamento (70-80 % della FC max).
Durata
La durata del defaticamento dipende in gran parte dall’intensità dell’allenamento. Dopo sedute svolte a bassa intensità (sotto soglia aerobica o ritmo maratona) l’alterazione dell’omeostasi sarà ridotta e anche il livello di acido lattico sarà rimasto vicino ai valori basali, in questa condizione basteranno 3-5 minuti di corsa a bassa intensità per garantire una discesa progressiva della frequenza cardiaca, del lavoro della muscolatura respiratoria e garantire un buon ritorno venoso.
Dopo allenamenti di media intensità (tra l’85 e il 90% della FC max o tra il ritmo maratona e il ritmo di mezza) si ha una maggiore produzione di ormoni dello stress e una minima produzione di acido lattico; in questa condizione, soprattutto nei soggetti meno allenati, potrebbe servire qualche minuto in più per riportare i parametri fisiologici vicino alla normalità ed ossidare quella piccola quota di lattato prodotto.
Dopo allenamenti o gare svolte ad intensità superiori alla soglia anaerobica o comprese tra il ritmo del 10000m e del 3000m il tempo per ossidare l’acido lattico prodotto aumenta significativamente. Diversi studi hanno mostrato l’efficacia del defaticamento nel rimuovere questa sostanza prodotta dal nostro organismo. Attività blande (50-60% della FC max in bicicletta o 65-75% della FC max nella corsa) di 30-40 minuti portano ad un ritorno ai valori basali anche dopo allenamenti fortemente lattacidi (ripetute sotto il km svolte alla massima intensità). Difficilmente un runner amatoriale avrà tanto tempo a disposizione da dedicare al defaticamento, in questo caso 15-20 minuti risulteranno sufficienti per abbassare notevolmente la concentrazione ematica del lattato.
Tipologia
Soprattutto dopo attività intense la muscolatura reclutata durante il defaticamento dovrebbe essere similare a quella utilizzata durante l’allenamento o gara; questa condizione risulta utile per garantire un’azione specifica di recupero e smaltimento del lattato nelle fibre muscolari e nelle zone più coinvolte dall’attività fisica.Dopo allenamenti muscolarmente impegnativi (circuit training, allenamenti collinari, ecc…) potrebbero essere utili attività alternative (ciclismo, nuoto) che non vadano a creare ulteriore danno muscolare e permettano comunque un buon flusso sanguigno (facilitando cosi una rimozione più veloce del materiale proteico rilasciato dalle cellule muscolari danneggiate). Questa condizione risulta logisticamente più difficile da gestire nell’immediato post esercizio. Per facilitare il loro svolgimento queste attività potrebbero essere svolte più tardi nella giornata o anche il giorno successivo all’evento e prolungate per altri 2/3 giorni per facilitare la riduzione progressiva del danno muscolare e del DOMS.
Infine va ricordata anche l’utilità dello stretching statico da inserire dopo la fase di defaticamento attivo con lo scopo di ridurre la tensione muscolare e le aderenze tra le fasce muscolari e connettivali. Gli stessi atleti degli altopiani africani inseriscono a fine allenamento diversi esercizi di leggera mobilità articolare per diversi minuti proprio per garantire gli effetti appena citati, tutto questo senza conoscere intimamente la fisiologia dell’esercizio. Spesso la pratica da campo precede di diversi anni le conoscenze derivate dalla letteratura scientifica.